Ecotassa ed ecobonus sono legge – L’ELENCO DEI MODELLI

Dopo il voto di fiducia la Camera dei deputati ha approvato definitivamente il disegno di legge bilancio per l’anno 2019 con 313 voti favorevoli e 70 voti contrari (il 30 dicembre 2018). La legge, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale, è entrata in vigore l’1 gennaio 2019 e contiene l’ecotassa sulle auto con emissioni di anidride carbonica superiori a 160 g/km e l’ecobonus per quelle fino a 70 g/km nella forma approvata il 23 dicembre al Senato…continua la lettura dell’articolo

Nuova stretta dall’Ue: Emissioni giù del 40% entro il 2030

Strasburgo aumenta di 10 punti percentuali la soglia proposta dalla Commissione. I costruttori: “Obiettivo non realistico, a rischio posti di lavoro”. Chiesta anche la revisione dei test sulle emissioni: dovranno basarsi su condizioni di guida reali.

 

Continua il braccio di ferro tra istituzioni europee e industria automobilistica. E dopo la prova di forza del Parlamento Ue a Strasburgo è facile prevedere che lo scontro stia per inasprirsi. L’assemblea ha infatti approvato l’obbligo, per i costruttori, di ridurre le emissioni di CO2 del proprio parco auto del 40% a partire dal 2030. La proposta della Commissione si fermava al 30%. E già questa soglia era considerata irrealistica dall’industria. Ma il tempo per limare ancora c’è: ora la misura dovrà passare per il cosiddetto “trilogo”, un negoziato tra Parlamento e Consiglio con la mediazione della Commissione.

Il voto di oggi a Strasburgo può avere conseguenze enormi sul mercato dell’auto privata e dei piccoli furgoni ma le ricadute sui consumatori non sono ancora del tutto chiare. Acea, l’associazione che rappresenta i maggiori 15 gruppi automobilistici in Europa, sostiene che l’auto a bassissime emissioni che sogna il Parlamento costerà molto cara agli europei, perché saranno gli stessi costi di produzione a subire un’impennata. “Il voto di oggi rischia di avere un impatto molto negativo sui posti di lavoro nella catena di produzione dell’auto e forzerebbe essenzialmente l’industria a una trasformazione sostanziale a tempi record” è il commento a caldo del il segretario di Acea Erica Jannaert.

Lo spazio per i miglioramenti tecnologici, dicono i costruttori, ormai è molto ristretto e per rispettare i parametri Ue l’unica via è l’elettrico.

Elettrico, l’alternativa che stenta. Che però non ha ancora conquistato gli europei: oggi solo l’1,5% delle auto vendute nel vecchio continente è a propulsione elettrica, ma è una media di Trilussa perché in Grecia e nell’est Europa le vendite rasentano lo zero. In Europa c’è però chi accusa i costruttori di fare il doppio gioco: “Oggi sappiamo che i produttori europei investono, per l’elettromobilità, 21 miliardi in Cina e solo 3 in Europa. L’obiettivo è quello di portare questi investimenti nel nostro continente” dice Eleonora Evi, europarlamentare del Movimento 5 Stelle. Acea parla invece di 54 miliardi l’anno in ricerca e sviluppo per la decarbonizzazione del settore.

L’Europa, in prima linea nella lotta al cambiamento climatico, sta facendo molta fatica a contenere le emissioni delle auto. Anzi: secondo i dati di Acea, stiamo solo cominciando a vedere l’effetto boomerang della lotta al diesel. Le limitazioni imposte (anche da diverse città italiane) non stanno infatti spingendo i cittadini all’acquisto di auto elettriche ma di auto a benzina, più inquinanti del diesel a livello di CO2 emessa ma più economiche delle elettriche e delle ibride. Risultato: in alcuni Paesi europei le emissioni di anidride carbonica nel 2017 sono aumentate rispetto all’anno precedente.

L’elettrico e i posti di lavoro. Se pochi europei acquistano auto elettriche non è solo per il costo iniziale ma anche perché è difficile trovare un punto in cui far rifornimento. Altre vagonate di denaro dovranno essere spese per migliorare le infrastrutture di ricarica (le colonnine che servono per fare il pieno alle auto elettriche) e non solo.

“L’obiettivo è quello di creare un’industria europea delle batterie, che oggi importiamo quasi solo dalla Cina” dice Damiano Zoffoli, Pd, del gruppo Socialisti e democratici. Secondo la relatrice della proposta approvata oggi, la maltese Miriam Dalli, se l’Europa producesse le batterie entro i propri confini, si guadagnerebbero quasi 100.000 posti di lavoro. Che l’industria della batteria possa salvare posti di lavoro è anche l’opinione di Massimiliano Salini, europarlamentare di Forza Italia nel gruppo del Ppe, che però nel complesso boccia la proposta approvata a Strasburgo: “Oggi in Parlamento hanno prevalso l’incompetenza e l’ideologia. Una pessima performance che non tiene conto di un’industria che oggi in Europa assicura moltissimi posti di lavoro. La riduzione del 30% sarebbe stata molto più realistica. Ora speriamo solo di rimediare nel corso delle negoziazioni”. L’auspicio diventa uno spauracchio per la pentastellata Evi: “E’ successo molte volte: il Parlamento migliora una proposta della Commissione ma poi si va a schiantare nelle negoziazioni con il Consiglio. Che, val la pena ribadire, si tengono rigorosamente a porte chiuse”.

Le altre misure approvate. Nel voto di oggi, oltre alla soglia del 40% entro il 2030, è stato fissato anche un obiettivo intermedio del 20% entro il 2025. I costruttori che sforeranno dovranno pagare un’ammenda che la Ue destinerà ai lavoratori colpiti dai cambiamenti del settore automobilistico.

Un’altra soglia stabilita a Strasburgo: entro il 2030 il 35% delle vendite di nuove auto dovrà essere a emissioni zero o a basse emissioni (cioè meno di 50 grammi di CO2 per chilometro), con soglia intermedia del 20% entro il 2025. Il Parlamento ha anche invitato la Commissione a rivoluzionare i test delle emissioni delle auto, dopo il dieselgate. L’idea è quella di introdurre un test in condizioni di guida reali anziché in laboratorio. Fino a quando non verrà introdotto questo nuovo test (l’idea è di renderlo operativo dal 2023) il Parlamento ha proposto di misurare le emissioni sulla base dei dati dei contatori del consumo di carburante delle automobili.

 

 

articolo di Federico Formica – link articolo originale

 

 

Aumentano di 10 volte gli investimenti nelle auto elettriche

Nei prossimi 8 anni gli investimenti annunciati dai costruttori di macchine per sviluppare modelli a propulsione elettrica, pura (Bev) e ibrida plug-in (Phev), sono 255 miliardi di dollari, 10 volte quelli degli ultimi 8 anni, secondo un’analisi di Alix Partner, una società di consulenza. La Cina, ritenuta il mercato chiave per queste auto, è il destinatario di gran parte di questi sforzi. Come a un tavolo di poker, chi vuole giocare in quel mercato deve avere una dote robusta da investire. A guidare è l’Alleanza Renault-Nissan-Mitsubishi, con circa 66 miliardi, seguita dai gruppi Volkswagen (49) e Hyundai-Kia (25). Ford, Daimler, GM e FCA prevedono di investire tra 8 e 12 miliardi ciascuno, davanti a Toyota e Jaguar-Land Rover sui 6/7 ciascuno.

 

Ma altri fattori potrebbero complicare la diffusione di questa tecnologia. A partire dai costi di produzione delle batterie. Nel biennio 2016/17 il prezzo del Nichel è aumentato del 40%, mentre quello del Cobalto è addirittura triplicato e un’ulteriore crescita della domanda potrebbe gonfiare ancora i prezzi. Per il Cobalto, verso il 2022 la domanda dovrebbe superare la capacità estrattiva.
Ricordiamo che la Cina raffina metà della produzione mondiale, che per 2/3 è in Congo. Queste stime sono basate sulla prevista crescita delle vendite di auto elettrificate e tengono in conto che le batterie di prossima generazione richiederanno metà del cobalto rispetto a quelle attuali, laddove aumenterà la quantità di Nichel, nella sua forma più pura (Classe 1), la cui produzione già prima del 2030 sarà inferiore alla domanda.

 

Dunque, se il trend verso l’elettrificazione continuasse ci sarebbe una dipendenza dai Paesi che controllano queste risorse. Ciò potrebbe allentare la pressione mondiale sui Paesi produttori di petrolio, ma non è detto, visto che qui ancora parliamo della sola costruzione delle batterie, che poi andranno ricaricate. L’idea di inquinare meno potrebbe spingere i consumatori verso l’elettrico, ma a condizione di un’elettricità da fonti pulite. È probabile che la transizione non procederà spedita come l’industria dell’auto si aspetta – e che ricade fuori dal loro controllo. L’altro grande driver, che qualche ombra sull’intero progetto la getta, sono le infrastrutture di ricarica.

 

Nel 2017 c’era una densità (in crescita) di 7,6 auto per colonnina pubblica (424.000 di cui la metà in Cina). Si aspetta che anche i privati investano nelle infrastrutture, ma il rischio è che poi per accelerare il pay-back dell’investimento alzino il prezzo dell’energia.

Oggi in media girare elettrico ha un costo/km intorno a 3 centesimi, meno della metà rispetto al carburante. L’alternativa sarebbe il metano, con una rete già disponibile.

 

 

articolo di Pier Luigi del Viscovo sole24ore.com

 

Con mezzi a guida autonoma rischio congestione aree urbane

La prevedibile ampia diffusione nelle metropoli del futuro dei veicoli a guida autonomia, sia vetture private sia mezzi pubblici, dovrebbe portare indubbi vantaggi per la mobilità di disabili e anziani, creare per i pendolari nuove opportunità di sfruttare il tempo necessario per gli spostamenti casa-ufficio, ma potrebbe anche comportare problemi a livello di traffico.

Un rischio decisamente probabile se l’autorizzazione alla circolazione nelle città di auto e bus senza pilota non dovesse essere anticipata dall’adozione di piani urbani di viabilità e trasporto studiati appositamente. E’ questa una delle considerazioni più importanti evidenziate dallo studio “Reshaping Urban Mobility with Autonomous Vehicles. Lessons from the City of Boston” che The Boston Consulting Group ha realizzato in collaborazione con il World Economic Forum.

Lo studio evidenzia una propensione da parte dei cittadini a preferire i mezzi a guida autonoma, con servizio a domicilio, rispetto all’impiego di tradizionali linee di bus/metropolitane. E’ prevedibile, quindi, una tendenza all’aumento dei veicoli AV in circolazione che potrebbe essere controbilanciata con l’adozione per car sharing e shuttles senza pilota di tariffe differenziate, in base al numero dei passeggeri a bordo, misura che da sola potrebbe contribuire a far migliorare i tempi di percorrenza attuali del 15,5%. Nel complesso, comunque, a fronte di spostamenti più lenti nelle aree centrali, si registra un miglioramento delle tempistiche medie nell’area metropolitana del 4,3%, valore che sale a 12,1% se si considerano alcune zone della cintura esterna.

 

 

 

fonte: ansa.it

 

In Italia Aumenta il Carsharing: +33,2%

Secondo uno studio pubblicato da Continental sulla sharing mobility in Italia nel periodo compreso tra il 2016 e il 2017, i mezzi di trasporto destinati alla mobilità condivisa sono passati da 20.698 a 47.679, con una crescita del 130,4%.
La crescita maggiore è stata quella delle biciclette usate per il bikesharing, che sono passate da 14.604 a 39.500 (+170,5%).
Significativo anche il dato relativo alle auto per il carsharing, che sono passate da 5.764 a 7.679 (con un aumento del 33,2%).
Gli scooter utilizzati per lo scootersharing erano 330 nel 2016 e sono passati a 500 nel 2017, con una crescita del 51,5%.

Questi dati derivano da un’elaborazione del Centro Studi Continental su dati dell’Osservatorio Sharing Mobility.
L’aumento del numero di veicoli utilizzati per la sharing mobility nel nostro Paese testimonia come l’interesse degli italiani verso la mobilità condivisa sia molto aumentato negli ultimi anni.
La crescita della sharing mobility in Italia passa però non solo dall’aumento del numero di mezzi condivisi a disposizione degli utenti, ma anche dallo sviluppo di dispositivi tecnologici e di connessione che consentano di rendere più semplice ed efficiente l’uso di questi mezzi di trasporto e quindi rendano più soddisfacente l’esperienza di utilizzo dei mezzi condivisi.

 

Secondo alcune previsioni nel 2020 ci saranno ben 250 milioni di auto connesse e 50 miliardi di device e dispositivi connessi.

 

 

 

“C’è ancora un futuro per l’autoriparatore ?” – Convegno, martedì 26 giugno

Per l’occasione, l’Ufficio studi della CGIA presenterà uno studio sulla situazione degli operatori del comparto auto (dati statistici relativi  alle imprese artigiane e non artigiane presenti nella Provincia di Venezia e nel Comune di Venezia). Inoltre, cercheremo di capire – a seguito della sempre maggiore diffusione di auto elettriche, a idrogeno, ibride, etc. – quali scenari potrebbero delinearsi nei prossimi anni.

 

martedì 26 giugno ore 20:30

presso: Cà della Nave Golf Club p.zza della Vittoria 14 Martellago (Ve)

 

L’ingresso è libero e gratuito. Si prega, comunque,  di confermare la propria partecipazione alla segreteria organizzativa:

info@cgiamestre.com tel. allo 041-23.86.703

 

SCARICA LA LOCANDINA

 

 

 

 

 

Addio ai negozi di autoricambi? L’assalto è iniziato

In Italia su eBay un accessorio e ricambio auto venduto ogni 5 secondi. Stesso discorso su Amazon. Cambia il modo di curare e riparare l’automobile

 

Ok, forse è presto per trarre conclusioni. E non è detto che nel mondo degli autoricambi succederà quello che è successo con i negozi di dischi o con le librerie. Però la strada sembra proprio quella: in Italia su eBay oggi si vendono un accessorio o un ricambio auto ogni 5 secondi. Stesso discorso per Amazon…

La distribuzione in questo settore cambia pelle e rischia di cambiare volto anche il mondo dell’auto. Perché la rete non conosce barriere e oltre ai colossi eBay e Amazon ci sono poi centinaia di specialisti all’estero che spediscono componenti anche in Italia.

Ma, tanto per capire le dimensioni del fenomeno, basta dire che solo su eBay.it – comunque il primo marketplace in Italia – ci sono oltre 46 milioni di articoli nuovi appartenenti alla categoria “Veicoli: ricambi e accessori” in vendita in ogni momento

L’evoluzione del mercato della distribuzione dipende anche da un fatto: gli accessori e i ricambi per auto e moto sono tra le categorie di prodotto più gettonate online, con un obiettivo preciso: risparmio. E nel mondo dei ricambi, come sanno bene gli autoriparatori e gli appassionati, cercare il minor prezzo possibile è spesso difficile: quando si trova il pezzo mancante non si può andare troppo per il sottile, bisogna prenderlo. On line invece no. Si può cercare ancora e scegliere un prezzo più basso.

E impressiona anche il trend di crescita: nei mesi interessati dal cambio gomme – sempre secondo eBay Italia – sono stati venduti 27 treni all’ora con una crescita del 70% rispetto agli altri periodi dell’anno.

“Per quanto riguarda le vendite, il 2017 è stato dominato, dal punto di vista dei ricambi auto, dagli articoli per la carrozzeria esterna, luci e frecce e articoli per interni. E i ricambi moto? In questo caso riscuotono molto successo i pezzi per l’impianto elettrico e per l’accensione, quelli per la carrozzeria e il telaio, luci e frecce” concludono ad eBay Italia

 

 

ARTICOLO DI VINCENZO BORGOMEO

 

 

 

 

 

Guida autonoma, i livelli di autonomia e gli Adas: cosa sono e come funzionano

Si parla sempre più spesso di auto in grado di guidare da sole e di sistemi Adas capaci di migliorare la sicurezza e di supportare l’automobilista durante la vita di tutti i giorni. La realtà però è ancora molto distante da scenari futuristici, dove potremmo salire in auto senza preoccuparci di quello che succede intorno a noi.

 

Proprio per questo motivo è importante distinguere i diversi livelli di guida autonoma e conoscere i diversi dispositivi di ausilio presenti in auto. In oltre faremo una breve panoramica sui modelli più avanzati sul fronte dell’autonomous driving.

 

Per distinguere i diversi livelli di guida autonoma ci viene in ausilio la tabella realizzata dalla Sae Society of Automotive Engineers, che nel 2014 ha stilato delle linee guida per distinguere e identificare il livello di automazione in una vettura.

 

Ricordiamo sempre l’importanza di rimanere concentrati quando si è al volante.

A oggi nessun sistema presente sulle auto in circolazione permette di distrarsi durante la marcia e non esistono sistemi di guida autonoma, cioè dove l’intervento del guidatore non sia necessario in caso di situazioni potenzialmente rischiose…CONTINUA LA LETTURA

 

 

 

 

 

 

Meccatronica: prorogato di cinque anni il termine per l’abilitazione all’esercizio dell’attività

Al’intero della Legge di Bilancio,  è stato inserito anche il rinvio del termine del 5 gennaio 2018 per l’abilitazione all’esercizio dell’attività di autoriparazione.

 

Dopo l’accorpamento della sezione di MECCANICA/MOTORISTICA con quella di ELETTRAUTO nella nuova sezione unica denominata MECCATRONICA, gli autoriparatori avrebbero avuto tempo fino al 5 gennaio 2018 per regolarizzare la loro posizione.

 

Ora ci saranno altri cinque anni a disposizione delle imprese per sistemare le cose e delle Regioni per organizzare i corsi regionali di qualificazione.

 

In sintesi è stato previsto quanto segue:

1)La proroga di cinque anni del termine del 5 gennaio 2018 per l’adeguamento dei requisiti richiesti per l’esercizio dell’attività di meccatronica.

2) Per le imprese abilitate per una o più attività di cui all’art. 1, comma 3, della Legge n. 122/92, come modificata dalla Legge n. 224/12, viene prevista, dopo la frequentazione con esito positivo dei corsi regionali di qualificazione, l’immediata abilitazione all’esercizio della relativa attività acquisita con i corsi stessi, senza l’obbligo di svolgere l’attività stessa, per almeno un anno, alle dipendenze di imprese operanti nel settore nell’arco degli ultimi 5 anni.

3) Analoga proroga di cinque anni del termine del 5-1-2018 viene prevista anche per la regolarizzazione delle imprese già abilitate per una o più attività, ai sensi dell’art. 1, comma 3, Legge n. 122/92, come modificata dalla Legge n. 224/12, che intendano conseguire l’abilitazione anche per una o entrambe le altre sezioni contemplate dalla richiamata disciplina dell’autoriparazione.

 

 

 

 

 

 

 

Dieci milioni di auto con più di 17 anni di vita

L’Italia? Non è un Paese per giovani. Il riferimento demografico vale anche per l’auto visto che noi abbiamo il parco circolante più vecchio d’Europa con un’età media da record di 10,5 anni. Secondo un’analisi condotta dal Centro Studi e Statistiche Unrae (l’associazione dei costruttori esteri in Italia) si scopre infatti che su un parco totale di 37.843.983, il circolante ante Euro 3 (vetture immatricolate prima del gennaio del 2001, quindi con oltre 17 anni di vita) è composto dalla bellezza di 9.567.000 vetture, pari al 25,3% del totale circolante.

 

E, sempre secondo le statistiche, parliamo di auto che – se a benzina – hanno in media 170 mila km, se diesel hanno invece superato ampiamente il muro dei 250 mila km. In una parola “rottami”, pericolosi per l’ambiente e pericolosi per chi li guida e per chi è a bordo. Si calcola infatti che queste auto – ma gli studi si riferiscono a modelli vecchi di 10 anni non di 17, quindi la realtà è ben peggiore – diano in caso di incidente a pilota e passeggeri una possibilità di sopravvivere di sette volte inferiore rispetto a quelle di un’auto nuova.

 

Non si tratta insomma di spingere gli automobilisti a cambiare l’auto per favorire la lobby dei costruttori, non ci sono complotti, scie chimiche o cospirazioni: il problema, enorme, è di sicurezza stradale. Ammettendo poi che dell’ambiente non importi poi nulla a nessuno perché le emissioni di una euro 3 sono nettamente più alte e velenose di quelle di una Euro 6.

 

Le vetture più vecchie in ogni caso si trovano al Centro-Sud: la regione con la percentuale di auto ante Euro 3 più alta è la Campania dove con su un parco circolante di 3.386.389 ben 1.322.457 hanno 17 anni o più, quindi pari a una percentuale del 39,1%. Segue poi di un soffio la Calabria dove il circolante di rottami è del 38,4% e quindi Sicilia, Basilicata, Molise, Puglia, Sardegna, Abruzzo, Umbria e Lazio.

 

Stesso discorso con l’analisi combinata condotta tra le province a più alto parco circolante e maggiore quota di vetture ante Euro 3: la classifica parla chiaro e vede Napoli in testa con 727.291 rottami parti al 41,7% del totale, seguita da Catania, Salerno, Palermo, Caserta, Bari, Cosenza, Lecce, Messina, Reggio Calabria.

 

 

 

articolo di VINCENZO BORGOMEO – repubblica.it

 

 

 

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