Cassazione: legittimo il risarcimento limitato a chi va nell’officina di fiducia

Per la Corte di Cassazione non sono considerate vessatorie le clausole su scoperto e franchigia. A prevalere è la libertà delle parti

Le compagnie assicurative possono inserire nelle polizze danni una clausola che preveda una misura differenziata dell’indennizzo, in funzione delle scelte dell’assicurato in ordine al soggetto cui affidarsi per la riparazione del bene danneggiato.

Lo ha stabilito la Corte di Cassazione (sentenza 33402/2024), tornando a occuparsi della questione clausole che di fatto consente alla compagnia di favorire chi sceglie un riparatore con essa convenzionato invece che uno di fiducia del danneggiato stesso.

La Cassazione specifica che queste tipologie di clausole non sono considerate in sé come restrittive della libertà negoziale con i terzi né generano un significativo squilibrio ai fini delle norme sulle clausole vessatorie (trattate dagli articoli 1341 del Codice civile e 33, lettera t) del Codice del consumo Dlgs 206/2005).

Il caso

La sentenza riguarda un caso in cui un assicurato aveva stipulato una polizza sul rischio di danni da atti vandalici alla propria autovettura. Il contratto prevedeva che, in caso di sinistro, l’indennizzo sarebbe stato integrale se l’assicurato avesse fatto riparare il mezzo in una delle officine indicate dall’assicuratore, altrimenti sarebbe stato contrattualmente applicato uno scoperto del 20% con un minimo di euro 1.500,00.

Verificatosi il sinistro, il danneggiato si rivolgeva a un’officina di propria scelta non convenzionata e quest’ultima, cessionaria del credito, agiva in giudizio per ottenere lo scoperto dalla Compagnia, eccependo la nullità della clausola, in quanto ritenuta abusiva.

Il giudice di pace, interessato in primo grado della questione, rigettò la domanda, mentre il Tribunale, in funzione di giudice del gravame, ritenne, da un lato, che l’officina era legittimata a far valere la nullità della clausola e, dall’altro, che tale rilievo era fondato in quanto la clausola era nulla  sulla base dell’articolo 33 del Codice del Consumo.

La nullità era effetto del limite alla libertà contrattuale del consumatore e della prevista riduzione minima del premio a fronte di uno scoperto. Il Tribunale precisò che la nullità della clausola derivava dal fatto che essa poneva a carico del consumatore una restrizione alla propria libertà contrattuale nei rapporti con i terzi, non bilanciata da alcun serio vantaggio e, peraltro, che essa non era stata oggetto di trattativa individuale.

La sentenza della Corte di Cassazione

La Cassazione confuta entrambi gli assunti, precisando che restrittiva della libertà contrattuale è quella clausola che imponga all’aderente di contrattare solo con il disponente oppure quella che preveda uno svantaggio economico se l’aderente si rivolge a terzi per avere la stessa prestazione offerta dal disponente. È patto interno, invece, l’accordo per cui l’aderente si obbliga verso il disponente a concludere affari solo con taluni soggetti chiaramente indicati.

Il contratto, in vero, accordava all’assicurato una mera facoltà: rivolgersi per le riparazioni a un’officina convenzionata o a una non convenzionata. Nel primo caso avrebbe evitato lo scoperto e ottenuto uno sconto sul premio, nel secondo caso no.

Inoltre, la riduzione dell’indennizzo non costituisce uno squilibrio significativo, in quanto la misura dell’indennizzo è rimessa alla libertà negoziale delle parti. Non esiste una gerarchia di validità tra l’assicurazione a valore pieno e la sottoassicurazione o l’assicurazione con scoperto obbligatorio.

Lo scoperto e la franchigia sono patti contrattuali che delimitano l’oggetto del contratto e, per ritenere che essi provochino un «significativo squilibrio», occorrerebbe postulare un erroneo e fallace presupposto. Cioè che l’assicurazione, a valore pieno e senza scoperto, costituisca il “minimo sindacale” indefettibilmente dovuto dall’assicuratore.

Comuni in allarme: pochi gli autovelox omologati, proventi a rischio

Pesante la sentenza 10105/2024 della Cassazione che impone ai Comuni di utilizzare autovelox omologati: non è sufficiente che siano approvati. In caso contrario le multe sono nulle, come scoperto da un automobilista in una causa contro Treviso. Ora, il direttore dell’Anci (Associazione nazionale Comuni italiani) del Veneto, Carlo Rapicavoli, ammette che quasi tutti i rilevatori sono solo approvati e non omologati; i proventi sono indispensabili per i bilanci delle amministrazioni locali. Se i verbali per eccesso di velocità fossero annullati con ricorso al Giudice di pace o al Prefetto, “gli enti rischierebbero di trovarsi buchi nei bilanci”.

La questione riguarda anzitutto le multe successive alla recente sentenza della Cassazione: con il ricorso, gli automobilisti possono vedersi cancellare i verbali se l’autovelox non è omologato. E per le contravvenzioni del passato? Grazie alla sentenza della Cassazione chi ha già pagato la multa potrebbe mettere in piedi una causa per indebito arricchimento. L’accusa? Aver incassato denaro in virtù di una contestazione emessa sulla base di un atto nullo.

Situazione paradossale. Mario Conte, sindaco di Treviso e presidente dell’Anci Veneto, chiede addirittura una legge per rendere magicamente “omologati” tutti gli autovelox: si rivolgerà a Matteo Salvini, ministro delle Infrastrutture, in un’imminente videoconferenza. Lo stesso Salvini che da anni si batte contro gli abusi dei Comuni in fatto di autovelox, spesso impiegati solo per fare cassa e non per migliorare la sicurezza stradale. Un bel cortocircuito.

TARGA PROVA:PER LA CASSAZIONE NON SI PUO’ PIU’ USARE SULLE AUTO IMMATRICOLATE

La corte di Cassazione interviene sulla questione della Targa prova: dopo il caos di un paio di anni fa tra ministero dei trasporti e degli interni sulla possibilità di usarle su veicoli già immatricolati ma non assicurati su cui si attendeva un parere (mai giunto) del Consiglio di Stato.
Con una sentenza del 25 agosto scorso, la Cassazione, infatti, ha stabilito un principio che avrà delle conseguenze sul mondo della distribuzione automobilistica: dei danni derivanti dalla circolazione del veicolo già targato, che circoli con targa prova, deve rispondere solo l’assicuratore del veicolo e non l’assicuratore della targa di prova.
In caso di incidente con una macchina usata non assicurata in vendita in una concessionaria o in un autosalone indipendente, il danno dovrà essere risarcito da chi lo ha provocato, cioè dal guidatore. Anche se sulla vettura era presente una targa prova. Quindi ne consegue che le auto usate andranno sempre assicurate e la targa prova andrà solo sulle auto che ne sono sprovviste, ovvero ancora da immatricolate.

Due anni fa la Polizia Stradale aveva sospeso temporaneamente le sanzioni per circolazione senza assicurazione: “allo scopo di evitare effetti pregiudizievoli per l’attività degli operatori del settore”, si legge nella circolare della polizia stradale, tuttora valida, “non si procederà ad attività sanzionatorie nei confronti di veicoli già immatricolati ma privi di copertura assicurativa in circolazione con targa prova”.