Germania: con la svolta elettrica a rischio il 20% dei dipendenti di fornitori e costruttori

Zf, Bosch o Continental sono solo gli ultimi grandi operatori dell’auto tedesca ad aver annunciato massicci tagli agli organici.

Nei prossimi mesi la forza lavoro che da sempre viene considerata come un’eccellenza assoluta dell’intero tessuto industriale della Germania si troverà di fronte a uno tsunami: ne è convinto Stefan Bratzel, direttore del Center of Automotive Management di Bergisch Gladbach, secondo il quale il massiccio ridimensionamento, da attribuire direttamente alla transizione verso la mobilità elettrica, metterà a rischio circa un quinto dei lavoratori del settore auto in poco più di cinque anni.

Pioggia di tagli

“La trasformazione – ha scritto Bratzel – sta diventando sempre più visibile sotto forma di tagli di posti di lavoro presso le grandi aziende fornitrici. Entro la fine del decennio prevediamo un calo dei posti di lavoro nell’industria automobilistica (produttori/fornitori) di circa il 20%. Parte dello smantellamento è già avvenuto. D’altro canto, si creano posti di lavoro anche in altri settori, ma non tutti gli specialisti dei motori a combustione diventano specialisti dell’intelligenza artificiale”. Da tempo, associazioni ed esperti avvertono delle conseguenze del passaggio all’auto alla spina per una platea di lavoratori che, tra fornitori e costruttori, contava oltre 770 mila persone alla fine del 2022. In ogni caso, la riduzione è iniziata da tempo: nel 2018 è stato raggiunto il record di quasi 834 mila dipendenti, ma negli anni successivi si è registrato un progressivo calo degli addetti in scia alla decisione di costruttori e componentisti di mettere mano agli organici.

Tensioni sociali

Finora, i tagli non si rivelati traumatici solo grazie ai tradizionali strumenti di contrattazione con i sindacati: aziende come la Volkswagen, per esempio, stanno riducendo la propria forza lavoro tramite la cosiddetta “gestione della curva demografica”. In sostanza, si privilegiano i prepensionamenti o gli esodi volontari e incentivati e non si ricoprono le posizioni vacanti. Da qualche mese, però, la Germania sta affrontando una situazione sempre più tesa. Lo dimostrano le frequenti iniziative di mobilitazione, tra cui le manifestazioni organizzate da agricoltori o camionisti: la protesta contro alcune politiche ambientali varate dal governo federale sta paralizzando da giorni l’intera Germania e ora sta dilagando in tutta Europa con blocchi e picchetti in Francia, Belgio e Italia.

ADDIO AI MOTORI TERMICI IN GERMANIA

La Germania sostiene la proposta della commissione europea che prevede il bando dei motori termici dal 2035 in Europa. È questa l’ultima posizione di Berlino, che dopo i due no del ministro dei trasporti Volker Wissing, fa dietrofront con la voce del ministro dell’ambiente Steffi Lemke che annuncia il completo sostegno del governo tedesco al disegno dell’esecutivo dell’Unione, presente nel noto piano climatico Fit for 55.

IN EUROPA

Il cambio di atteggiamento della Germania sulla questione riflette le incertezze che si stanno manifestando in tutta Europa: se da una parte i governi belga e olandese chiedono di anticipare il divieto ai motori a combustione già nel 2030, ci sono altri come la Francia che bocciano la proposta green dell’Unione, posizione fino a oggi condivisa anche dalla Germania.

IN ITALIA

Roberto Cingolani, ministro della transizione energetica si mostra cauto, definendo il 2035 come una data indicativa per il bando, mentre Il Cite (Comitato interministeriale per la transizione ecologica) intende allinearsi alla decisione della Commissione Ue. Fa eco all’ultima posizione espressa della Germania e delle UE anche Veronica Aneris, direttrice per l’Italia della Federazione europea per il trasporto e l’ambiente, che sottolinea per le aziende il bisogno di certezze e di investimenti per la riconversione, mentre ai cittadini di comprendere quanto prima la fine dalla dipendenza dai combustibili fossili, evidenziando come quest’ultimi sono colpiti da una volatilità dei prezzi, fenomeno che poi danneggia la nostra economia. In Italia, secondo i dati dell’ente pubblico ISPRA (istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale), nel 2019 trasporto stradale è stato responsabile del 23,4% delle emissioni nazionali totali di CO2 (il 68,7% di queste a carico delle autovetture).