Batterie, Europa in difficoltà: nel 2030 produrrà solo il 12% del mercato mondiale

Il fallimento di Northvolt ha acceso definitivamente la spia, ma non del tutto. Perché il crollo di quella che era ritenuta il fiore all’occhiello dell’industria continentale della batterie per automobili, rappresenta appena l’8% sul 59% di progetti di gigafactory che nell’ultimo monitoraggio di Transport & Environment, organizzazione con base a Bruxelles molto influente in materia di auto elettriche e decarbonizzazione, sono considerati a bassa probabilità di essere completati in Europa entro fine decennio.

Sulla base dei progetti annunciati T&E ha individuato una capacità virtuale di 1,7 TWh entro il 2030, per circa 50 impianti. Non tutti di matrice occidentale. Spiccano, infatti, quelli del numero uno mondiale, la cinese Catl (100 GWh in Ungheria), del colosso coreano LG Energy Solution (in Polonia, 115 GWh) e di Tesla a Berlino (100 GWh). Ma nella mappa ci sono anche i progetti della cinese Svolt (spin-off del costruttore di automobili Great Wall Motors) e della giapponese Envision Aesc. Tra i Paesi, l’Italia con il rinviato impianto di Termoli (consorzio ACC: Stellantis, Mercedes-Benz, TotalEnergies) arriverebbe nel 2030 a 48 GWh, contro i 358 della Germania, i 196 della Spagna e i 215 dell’Ungheria.

Secondo T&E se l’Ue non dovesse confermare gli obiettivi sulle emissioni di CO2 e i dazi sull’import di auto elettriche cinesi – un combinato disposto che potrebbe frenare, dal 20% della quota di mercato stimata per il 2025 al 18% nel 2026, le vendite di auto made in China; in assenza si arriverebbe al 27% – sarebbero a rischio decine di miliardi di investimenti. Oltretutto, «a fronte della tariffa doganale più bassa del mondo, appena superiore all’1%, proprio sull’import di batterie». Secondo le stime di T&E solo il 10% dei progetti di gigafactory di batterie annunciati (oltre a quelli già in funzione) ha attualmente delle chance concrete. Come si diceva, il 59% è già a rischio, con una perdita di circa 100mila potenziali posti di lavoro. Il 15% dei progetti è in costruzione e il 17% sono operativi.

In sostanza, la catena di approvvigionamento è nelle mani del Dragone e dei sudcoreani. E le importazioni andranno avanti anche in futuro. «Quando si parla di autonomia per la catena di approvvigionamento delle batterie europee – spiega Evan Hartley, senior analyst di Bmi – ci sono alcune cose da considerare. In primo luogo, la capacità non equivale alla produzione, quindi mentre prevediamo che la domanda regionale europea per il 2030 sarà di circa 930 GWh, stimiamo che la produzione effettiva sarà di circa 430 GWh. L’Europa sarà ancora fortemente dipendente dalla Cina o da altri impianti di produzione asiatici. Allo stesso modo, non tutta la produzione sarà orientata verso i mercati rilevanti, quindi è improbabile che la domanda sia completamente soddisfatta dalla produzione europea».

Attualmente Bmi sta monitorando 36 progetti di produzione di celle per batterie in Europa, con una capacità di pipeline di 1141,8 GWh e 36 fabbriche, con 191,9 GWh di capacità operativa a partire dal 2024. «Vale la pena notare – continua Hartley – che tale pipeline si è ridotta nel corso dell’ultimo anno, essendo di 133 GWh più piccola di quanto non fosse nel dicembre 2023. Alcune startup locali che cambiano i piani, come ACC e Northvolt, hanno contribuito . Ma anche produttori cinesi affermati come Svolt stanno faticando a realizzare i piani nella regione. Ed è probabile che l’impatto del crash di Northvolt investa altri produttori su piccola scala o start-up, che potrebbero incontrare ulteriori difficoltà nell’ottenere finanziamenti».