Auto, è boom di furti di pezzi

I ladri di pezzi d’auto non vanno mai in vacanza, anzi: i furti aumentano in maniera esponenziale. il sospetto è che i ladri non rubino più esclusivamente per rivendere al mercato nero, ma che i furti avvengano sempre di più su commissione.

Le componenti a maggiore rischio

La refurtiva non finisce solo nel mercato nero italiano, ma anche in quello estero e sui siti di oggetti usati. A essere maggiormente presi di mira sono fanali, portiere, gomme, cerchi, catalizzatori, marmitte, volanti, airbag, cruscotti, paraurti e specchietti.

Menzione d’onore per le batterie al litio, il cuore delle auto elettriche, alcune delle quali arrivano a costare anche 10mila euro. Tra i modelli più vandalizzati le Fiat (Panda, 500, 500L e 500XL), quasi tutti i modelli Audi e le Smart. Le Fiat sono al vertice anche nella classifica della auto più rubate in Italia.

L’aumento dei prezzi nei listini ufficiali e i lunghi tempi di attesa per i pezzi di ricambio alimentano il fenomeno dei furti di componentistica. E il rischio è che l’automobilista derubato si ritrovi nella paradossale situazione di rivolgersi al mercato nero per riparare i danni subiti, lo stesso mercato nero che è all’origine del furto.

Cavallo di ritorno con smontaggio dei pezzi

C’è poi una forma ibrida di furto, a metà strada tra il furto d’auto e la sottrazione di componentistica: è il cavallo di ritorno con smontaggio dei pezzi. Il cavallo di ritorno classico prevede che il mezzo rubato venga restituito dietro il pagamento di un riscatto. Oggi sempre più spesso accade che chi accetti di sottostare a questo ricatto si ritrovi con un’auto priva di qualche pezzo. Il consiglio per chi sia vittima del racket del cavallo di ritorno è quello di allertare le forze dell’ordine e organizzare un incontro con i malviventi sotto la vigilanza a distanza di polizia o carabinieri, col fine ultimo di procedere all’arresto.

In termini assoluti le città più colpite sono Milano e Roma, ma in percentuale alla popolazione sono tanti i centri, anche di dimensioni relativamente piccole, flagellati dal fenomeno. Non vengono attaccate solo le auto dei cittadini, ma anche quelle appartenenti alle società di noleggio. I tempi cambiano e il mercato si adegua: alcune assicurazioni e alcune società di nolo hanno cominciato a inserire apposite franchigie nei loro contratti.

Avere l’esatto quadro del fenomeno non è facile dal momento che gli automobilisti che non abbiano stipulato una polizza assicurativa contro il furto non sempre denunciano.

L’unico modo per tentare di ridurre il rischio di furto è evitare di parcheggiare l’auto in strada nelle ore notturne, soprattutto in zone isolate e poco illuminate. Ma i ladri più esperti e spregiudicati possono agire anche se l’auto si trova in una zona piuttosto frequentata: non effettuano lo smontaggio sul posto, ma rubano l’intero veicolo e lo guidano verso una zona più tranquilla dove possono agire indisturbati. Meglio prevenire ricorrendo a una copertura assicurativa totale: questo non ferma le mani dei ladri, ma in caso di furto si piange con un occhio solo.

Sul fronte delle regioni più a rischio per i furti d’auto troviamo Campania, Lazio, Puglia, Sicilia e Lombardia. Un’auto rubata su due è un Suv.

La spesa per l’auto vola oltre i 200 miliardi di euro

L’anno scorso, gli italiani hanno speso per l’acquisto e l’esercizio degli autoveicoli (autovetture, veicoli commerciali, veicoli industriali e autobus) quasi 207,4 miliardi di euro, il 14,9% in più rispetto ai 180,5 miliardi del 2021.

Secondo uno studio dell’Osservatorio Autopromotec, il peso del settore automotive sull’economia nazionale è cresciuto dal 10,2% al 10,9%.

Le voci di spesa:

La ricerca fornisce anche uno spaccato delle varie voci di spesa.

La prima voce di spesa è rappresentata dai carburanti, con il 36% del totale e un esborso complessivo di 74,6 miliardi di euro, il 25,8% in più per colpa non solo delle ormai note conseguenze del conflitto in Ucraina e della crisi energetica, ma anche dei maggiori consumi rispetto a un 2021 ancora penalizzato dai limiti agli spostamenti legati alle misure anti-pandemia.

La seconda maggior voce di spesa è stata quella per l’acquisto di nuovi veicoli, pari a 45,9 miliardi. In questo caso, l’incremento è stato di appena il 4% perché l’aumento dei prezzi del 5,5% è stato compensato dal calo delle immatricolazioni (-10,7% per le sole autovetture).

Per le manutenzioni e le riparazioni, invece, sono stati spesi 43,4 miliardi (+24,2%), per le assicurazioni 16,7 miliardi (-0,7%) e per i parcheggi e i ricoveri 10 miliardi (+1%).

I pedaggi autostradali, pari a 7,1 miliardi, hanno subito un incremento del 16% per la ripresa della mobilità sulle lunghe percorrenze.

Infine, secondo le stime dell’Osservatorio Autopromotec, sono stati spesi 6,7 miliardi per le tasse automobilistiche (+1,5%) e 2,7 miliardi per l’acquisto di pneumatici (+12,1%).

Auto: antivirus obbligatorio per tutti in Europa dal 2024

Le auto sono sempre più tecnologiche. La tecnologia che un tempo aveva un ruolo marginale all’interno di una vettura ogni anno che passa ottiene sempre più importanza. Questo se da un lato è positivo in quanto rende più facile e più piacevole la vita degli automobilisti, dall’altro può creare alcuni problemi soprattutto per quanto concerne la sicurezza. Con aggiornamenti over-the-air sempre più frequenti diventa altamente probabile che le nostre vetture possano essere vittima di attacchi informatici.

Da luglio 2024 antivirus obbligatorio nelle auto di nuova produzione in Europa

Per questo motivo la Commissione Europea ha approvato due nuovi regolamenti ( reg. n° 155 e n° 156) con l’obiettivo di obbligare tutte le auto di nuova produzione a partire da luglio 2024 a disporre di un antivirus standard proprio con l’obiettivo di evitare questi possibili attacchi hacker.

I due nuovi regolamenti prevedono dunque una serie di modifiche alla situazione attuale. Se tutte le case automobilistiche sono d’accordo sul fatto di migliorare la sicurezza informatica delle proprie auto ovviamente sulle modalità non sono ancora tutti concordi.  Ricordiamo che gli stati membri dell’Unione sono tenuti al rispetto dei regolamenti in maniera rigorosa e dunque non possono modificarli.

Le nuove regole richiedono che vengano riscritte varie parti del codice di controllo interno del sistema. Proprio qui sta il problema. Questi cambiamenti richiedono ingenti investimenti e inoltre la questione è abbastanza complessa dato che si dovranno uniformare diversi sistemi. Vedremo dunque da qui all’estate 2024 che novità arriveranno in proposito.

Auto,componentistica “a sorpresa” i ricavi in aumento del 16%

Ricavi medi in aumento del 16% nel primo trimestre. E profittabilità in risalita dell’1,1% con prudenti prospettive di miglioramento dei margini nel corso dell’anno.

Questa è la fotografia scattata da Moody’s dello stato di salute dei maggiori player europei della componentistica nel settore Automotive.

Mentre il 2023 è l’anno della frenata per i costruttori (non per tutti, i brand premium sono esclusi) sotto il profilo della redditività dopo due anni di vacche grasse, la ripresa dei volumi è dalla parte dei componentisti.

Aspettative superate

I risultati finanziari del primo trimestre 2023 della maggior parte dei fornitori europei di componenti per autoveicoli che valutiamo – si legge nella nota di Moody’s – hanno superato le aspettative. «Tuttavia, al momento non stimiamo al rialzo le previsioni di vendite e redditività per i fornitori europei di componenti per il 2023. La maggior parte delle aziende, del resto, ha mantenuto aspettative prudenti per l’intero anno. Tale prudenza riflette l’incertezza del sentiment dei consumatori in un contesto di rallentamento della crescita economica e inflazione persistente».

Il +16% medio delle vendite per i 12 fornitori presi in esame, quelli che hanno reso noti i risultati del primo trimestre, si deve a un recupero di circa il 6% nella produzione globale di veicoli leggeri, in particolare in Europa (+17%) e in Nord America (+10%). Ma anche ad aumenti dei prezzi per coprire i costi di produzione in continuo aumento. Altro fattore a favore, infine, i lanci di nuovi prodotti.

La crescita delle vendite, peraltro, è stata disomogenea, per recenti acquisizioni o disinvestimenti. Ma anche per effetto delle diverse condizioni regionali. In particolare in Cina, dove la produzione di auto è diminuita del 4% anno su anno nel primo trimestre.

La straordinaria performance di alcuni player, come Gestamp (+22,7% globale a valute costanti ed escludendo l’effetto positivo dei prezzi delle materie prime), è il frutto della fine dei vincoli sofferti nel primo trimestre 2022, a seguito dell’invasione russa dell’Ucraina.

Il miglioramento del margine operativo

Spostando il focus sulla redditività, Moody’s registra «un miglioramento visibile nel margine Ebit dei nove fornitori di componenti che hanno riportato finora i risultati trimestrali. Il margine è salito al 6,6% nel primo trimestre rispetto al 5,5% dello stesso trimestre dell’anno scorso. I fattori che hanno contribuito al miglioramento includono un migliore assorbimento dei costi fissi grazie a volumi più elevati e gli aumenti dei prezzi per compensare (in parte retroattivamente) l’inflazione sui costi di componenti elettronici, manodopera, energia». Il progresso nel primo trimestre ha toccato il livello che l’agenzia di rating si aspettava per l’intero anno.

«La redditività dei fornitori di componenti auto – continua Heck – è molto legata ai volumi di vendita, mentre i loro prezzi sono tipicamente determinati, in gran parte, contrattualmente. Esiste una possibilità generale di trasferire i cambiamenti dei costi di produzione, ma di solito con un ritardo temporale. Ciò ha messo sotto pressione i margini l’anno scorso e ci aspettiamo un recupero quest’anno».

Se la produzione continuerà secondo le previsioni di crescita delle vendite globali di veicoli leggeri del 5,7% nel 2023 e se i fornitori riusciranno a difendere la loro posizione nelle rinegoziazioni dei prezzi con i clienti, facendo fronte all’inflazione, secondo Moody’s è probabile «un continuo recupero della redditività nel resto dell’anno». Quanto alle aziende sono le prime a non sbilanciarsi e a tenersi prudenti nelle stime per il 2023, da Faurecia a Hella a Schaeffler.

E quando arriveranno i cinesi?

Guardando più in là, le premesse per un’invasione cinese in Europa quali ripercussioni potrebbero avere sui componentisti?

«Diverse case automobilistiche cinesi – conclude l’analista di Moody’s – hanno avviato iniziative per vendere veicoli in Europa, ma i loro volumi di vendita sono ancora molto bassi in questa fase. La loro presenza, tuttavia, manterrà la concorrenza in Europa ad alti livelli. In questo quadro i fornitori di ricambi auto con tecnologie forti e produzione efficiente, che riforniscono anche le case automobilistiche cinesi, potranno resistere ai cambiamenti nel panorama competitivo in Europa. Al contrario, i fornitori che dipendono in gran parte dalle vendite alle case automobilistiche europee potrebbero risentirne se i loro volumi diminuissero a causa dell’aumento delle quote di mercato delle case automobilistiche cinesi».

fonte: sole24ore – Finanza & Mercati

Superbollo verso l’abolizione?

il governo pare intenzionato ad abolire la tassa dedicata alle auto con potenza maggiore di 251 CV, in vigore dal 2011 e fino a oggi oggetto di polemiche e discussioni.

L’esecutivo starebbe infatti valutando di eliminare una serie di micro-imposte che, a quanto pare, portano entrate ridotte per le casse dello Stato. La lista definitiva delle tasse da abolire è ancora da stilare da parte del ministero dell’Economia, tuttavia sembra che tra queste ci sia anche quella che risulta una delle più odiate da parte degli automobilisti.

POSSIBILE MAGGIOR GETTITO

L’attuale superbollo è stato introdotto dal governo Berlusconi e poi reso effettivo nel 2011 dal governo Monti, che ha abbassato il limite di potenza e aumentato la tariffa al kW, con il decreto Salva Italia. Il superbollo prevede infatti che, al bollo auto stabilito da ogni Regione, venga aggiunta una quota di ulteriori 20 euro per ogni kW oltre i 185 (con riduzione a 12 euro dopo 5 anni dall’immatricolazione, 6 euro dopo 10 anni, 3 euro dopo 15 anni e abolizione dopo i 20 anni). L’imposta aggiuntiva era stata prevista nell’ottica di raccogliere un maggior gettito fiscale da parte dei proprietari di vetture di lusso, ma l’introduzione del superbollo ha avuto solo effetti negativi per il minor gettito per lo Stato dovuto al crollo delle vendite delle vetture con potenze maggiori.

Fin dal momento della sua introduzione il bollo aggiuntivo è stato molto criticato e non sono mancati i tentavi, più o meno concreti, di abolirlo una volta per tutte. Fino a oggi però il superbollo è rimasto. Vedremo se la volontà del governo, supportata da una larga maggioranza in parlamento, sarà davvero quella di eliminare questa tassa molto discussa.

 

Italia e Francia contro l’euro 7

Italia, Francia e altre sei Nazioni dell’Unione Europea, hanno chiesto attraverso  un paper congiunto di eliminare dalle norme Euro 7 di prossima introduzione i nuovi limiti previsti per le emissioni di scarico: il gruppo di paesi, che comprende anche Repubblica Ceca, Bulgaria, Ungheria, Polonia, Romania e Slovacchia, sostiene che gli obiettivi fissati sarebbero eccessivamente ambiziosi e irrealistici, e potrebbero dirottare investimenti cruciali per raggiungere l’obiettivo dell’UE di vietare la vendita di nuovi veicoli con motore a combustione dopo il 2035.

Dello stesso avviso anche Carlos Tavares, CEO di Stellantis, secondo cui gli ultimi passi per ridurre la CO2 dalle auto comporterebbero oneri inutili per l’industria e rallenterebbero il passaggio del settore all’elettrificazione.

Cosa prevede la normativa sull’Euro 7? L’obiettivo del nuovo regolamento è inasprire le norme sugli inquinanti diversi dalla CO2, come il monossido di carbonio CO e gli ossidi di azoto NOx.

Le regole mirano anche a contrastare il particolato proveniente da freni e pneumatici, prodotto dal consumo delle pastiglie e del battistrada rispettivamente. L’entrata in vigore è per ora prevista al 1° luglio 2025, ma se in origine l’intenzione era regolamentare gli standard per l’ultima generazione di motori a combustione, il via libera ai carburanti sintetici potrebbe allungare la vita di benzina e Diesel almeno fino al 2040.

i Paesi che si oppongono affermano che è troppo presto per attuare un ulteriore giro di vite sulle emissioni e sostengono che i tempi di consegna sono di almeno tre anni dal momento dell’adozione del pacchetto. Lo stesso presidente francese Emmanuel Macron avrebbe auspicato una pausa nella regolamentazione climatica dell’UE. 

La preoccupazione è che il passaggio all’elettrico possa comportare la perdita di migliaia di posti di lavoro nel settore e la presa di posizione è netta: ”Ci opponiamo a qualsiasi nuova norma sulle emissioni di scarico (compresi nuovi requisiti per i test o nuovi limiti) per auto e furgoni”, affermano i paesi firmatari del documento. Ma come è accaduto per gli e-fuel questa dichiarazione pare il punto di partenza per una trattativa in cui i colloqui tra il Parlamento Europeo e gli Stati membri devono ancora iniziare. Non si tratta dunque di un ”uno a zero e palla al centro”, ma piuttosto di una dichiarazione pre-partita, che anticipa il calcio d’inizio. Fare pronostici sul risultato è quantomai prematuro.

Aftermarket: confermata la proroga al 2028 della MVBER

Anticipando la scadenza prevista per il 31 maggio di quest’anno della normativa MVBER (Motor Vehicle Block Exemption Regulation) e in linea con quanto già annunciato lo scorso anno dalla Commissione Europea, lo scorso 17 aprile, la Commissione ha confermato di aver prorogato fino al 31 maggio 2028 la validità della legge e di aver aggiornato gli orientamenti supplementari riguardanti il settore.

Come scrive la nota stampa ufficiale, gli orientamenti riveduti aiuteranno le imprese del settore automobilistico a valutare la compatibilità dei loro accordi verticali con le norme dell’UE in materia di concorrenza, garantendo nel contempo che gli operatori del mercato post-vendita, tra cui le officine, continuino ad avere accesso ai dati generati dai veicoli che sono necessari per la riparazione e la manutenzione.

La proroga di cinque anni della normativa permetterà alla Commissione di reagire tempestivamente a eventuali cambiamenti del mercato, ad esempio quelli derivanti dalla digitalizzazione e dall’elettrificazione dei veicoli e dai nuovi modelli di mobilità.

Le principali modifiche

L’aggiornamento degli orientamenti supplementari riguardano due aspetti: l’accesso ai dati e il principio di proporzionalità.

I dati generati dai sensori dei veicoli possono costituire un fattore produttivo essenziale della fornitura di servizi di riparazione e manutenzione.

Pertanto, per conformarsi all’articolo 101 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea (“TFUE”), i riparatori autorizzati e indipendenti dovrebbero avere un accesso a tali dati su un piano di parità.

I principi esistenti su cui si basa la fornitura delle informazioni tecniche, degli strumenti e della formazione necessari per la prestazione dei servizi di riparazione e manutenzione sono stati estesi in modo da includere esplicitamente i dati generati dai veicoli.

Inoltre, i nuovi orientamenti specificano che i fornitori di veicoli devono applicare il principio di proporzionalità quando valutano se rifiutare o meno l’accesso ai fattori produttivi, come i dati generati dai veicoli, sulla base di possibili preoccupazioni in materia di cyber sicurezza.

Infine, gli aggiornamenti segnalano che l’articolo 102 TFUE può essere applicabile se un fornitore rifiuta unilateralmente a un operatore indipendente l’accesso ai fattori produttivi essenziali, ad esempio i dati generati dai veicoli.

La MVBER e le normative di riferimento

Gli accordi verticali sono accordi tra due o più imprese operanti a livelli diversi della catena di produzione o di distribuzione, che riguardano le condizioni alle quali le parti possono acquistare, vendere o rivendere determinati beni o servizi.

L’articolo 101, paragrafo 1, TFUE vieta gli accordi tra imprese che limitano la concorrenza.

Tuttavia, l’articolo 101, paragrafo 3, TFUE consente di dichiarare tali accordi compatibili con il mercato interno purché contribuiscano a migliorare la produzione o la distribuzione dei prodotti o a promuovere il progresso tecnico o economico, pur riservando agli utilizzatori una congrua parte dell’utile che ne deriva, senza eliminare la concorrenza.

La MVBER stabilisce che il regime generale della Commissione sulle restrizioni verticali (ovverosia il regolamento di esenzione per categoria per gli accordi verticali o VBER, Vertical Block Exemption Regulation) si applica agli accordi per la distribuzione di veicoli nuovi.

La VBER prevede un’esenzione dal divieto di cui all’articolo 101, paragrafo 1, TFUE per gli accordi verticali che soddisfano determinate condizioni, creando in tal modo una zona di sicurezza per tali accordi.

Gli orientamenti relativi alle restrizioni verticali forniscono indicazioni su come interpretare e applicare la VBER e su come valutare gli accordi verticali che non rientrano nella zona di sicurezza prevista dalla VBER.

Per quanto riguarda gli accordi relativi alla vendita o alla rivendita di pezzi di ricambio per autoveicoli o alla prestazione dei servizi di riparazione e manutenzione di autoveicoli, la MVBER stabilisce che l’articolo 101, paragrafo 1, del TFUE non si applica ad essi, purché tali accordi soddisfino i requisiti per un’esenzione nell’ambito del regime generale e non contengano alcuna delle clausole elencate nella MVBER che eliminano la possibilità di beneficiare dell’esenzione.

Come si è arrivata agli aggiornamenti degli orientamenti supplementari?

Il 28 maggio 2021, la Commissione ha pubblicato una relazione di valutazione e un documento di lavoro dei servizi della Commissione che illustrano i risultati della valutazione dell’intero quadro applicabile al settore automobilistico (il regolamento MVBER, gli orientamenti supplementari e il regolamento di esenzione per categoria per gli accordi verticali e gli orientamenti sulle restrizioni verticali, nella misura in cui si applicano al settore automobilistico). Dalla valutazione è emerso che il quadro era stato utile e rimaneva pertinente per le parti interessate.

In particolare, essa ha concluso che, nel complesso, il contesto concorrenziale dei mercati dei veicoli a motore non è cambiato in modo significativo da quando la Commissione ha valutato questi mercati per l’ultima volta, nel 2010, ma che il settore risultava soggetto a forti pressioni per adeguarsi alle trasformazioni verde e digitale.

Auto usate, le ibride salgono al 3° posto fra le preferenze

Dopo la crescita di gennaio, torna a flettere in febbraio il mercato delle autovetture usate (con dati in attesa di consolidamento): con 401.117 trasferimenti di proprietà rispetto ai 404.966 dello stesso periodo 2022 si registra un leggero calo dell’1%. I trasferimenti netti cedono l’1,5%, mentre le minivolture rimangono sostanzialmente stabili (-0,2%). Nel 1° bimestre il mercato dell’usato rimane in attivo del 4% con 450.734 passaggi, verso i 329.743 di gennaio-febbraio 2022.

Alimentazioni

Fra le motorizzazioni preferite nel mercato delle auto usate, il diesel a febbraio 2023 conferma la leadership, con il 47,3% delle preferenze (-2,3 p.p., in linea con la quota del 1° bimestre), seguito dal benzina al 40,1%, in recupero di 0,4 punti sullo stesso mese 2022 (40,4% nei 2 mesi). Le ibride salgono al terzo posto con il 4,8% nel mese e il 4,5% nel cumulato, superando il Gpl (al 4,5% del totale nel mese e 4,4% nel bimestre). Il metano sale al 2,4%, mentre i trasferimenti netti di auto elettriche pure (BEV) e plug-in si posizionano rispettivamente allo 0,4% e allo 0,5%.

Contraenti

Gli  scambi tra privati/aziende cedono leggermente nel mese (-0,7 p.p.) al 56,2% di tutti i passaggi di proprietà (57,5% nel 1° bimestre). Stabili al 39,7% quelli da operatore a cliente finale (38,9% in gennaio-febbraio). Crescono quelli provenienti dal noleggio (1,4% complessivo) e perdono 0,4 punti quelli da Km0 (al 2,6%).

Regioni

L’analisi per regione evidenzia la leadership della Lombardia con il 15,8% dei trasferimenti, seguita da Lazio e Campania, con quote in contrazione, rispettivamente al 9,8% e 9,0%. Cresce di 0,7 punti, sfiorando il 3% di share, la rappresentatività del Trentino Alto Adige, grazie al contributo delle società di noleggio.

Anzianità

Si stabilizza la quota dei trasferimenti netti di vetture con oltre 10 anni di anzianità, al 50,2% in febbraio (51,4% nel bimestre). Sale al 15,4% la quota delle auto da 6 a 10 anni (in linea con il cumulato), stabile quella delle vetture da 4 a 6 anni (12,1% nel mese e 12% in gennaio-febbraio). In contrazione la quota delle auto più fresche da 0 a 1 anno (al 5,6%), per la riduzione delle Km0, mentre recupera quella delle auto da 1 a 2 anni (al 4,5%).

Minivolture

Sul fronte delle minivolture, in febbraio perde mezzo punto la quota dei privati o altre società che permutano la propria vettura, al 61,9% (61,2% nel 1° bimestre), mentre si riduce lievemente la quota dei ritiri di autovetture da parte degli operatori, al 26,2% (26,7% in gennaio-febbraio). In crescita le auto ritirate provenienti dal noleggio a lungo e breve termine, cala quella delle auto provenienti da Km0.

In febbraio confermano una leggera contrazione le minivolture di auto diesel al 53,5% (-0,3 p.p., in linea con il cumulato), mentre un calo più sostenuto si registra per il benzina, al 31,3% (-1,7 p.p.). Sostanzialmente stabile il metano (al 2,5%), a fronte di una leggera crescita per il Gpl (al 5,2%). Salgono al 3° posto le minivolture di auto ibride: 6,1% di share. Stabili le plug-in allo 0,5%; in lieve flessione le BEV allo 0,8%.

A febbraio si conferma stabile, fra le minivolture, la quota delle autovetture con più di 10 anni, al 39,7% del totale (in linea con il cumulato). In crescita, invece, le fasce di anzianità da 6 a 10 anni (19,2% nel mese e 18,9% nel 1° bimestre), da 4 a 6 anni (13,6% e 13,5% in gennaio-febbraio) e quella da 1 a 2 anni (6,3%). Cedono, invece, oltre 2 punti le auto più fresche da 0 a 1 anno.

dati UNRAE

E-fuel e biofuel: se ne parla molto, ma cosa sono?

Di Biofuel, caldeggiato dall’Italia ed E-fuel, sospinto invece dalla Germania se ne parla parecchio in questo periodo: l’obiettivo è quello di aggiungere delle ulteriori possibilità da affiancare alla mobilità elettrica in vista del 2035. Quali sono le differenze tra i due tipi di combustibili alternativi?

E-FUEL:

Si tratta di un combustibile sintetico che non contiene prodotti derivati da fonti fossili (come il petrolio) .

Nella produzione si parte dall’elettrolisi, in cui nell’acqua (H20) l’idrogeno viene scisso dall’ossigeno: facendo passare nell’acqua (preferibilmente di mare desalinizzata) della corrente elettrica, l’idrogeno si concentra intorno al catodo, cioè il polo negativo. Al tempo stesso, si cattura dall’aria l’anidride carbonica, spingendola con grandi ventilatori attraverso filtri che la trattengono. Dalla successiva miscelazione di idrogeno, anidride carbonica e alcune sostanze catalizzanti si ottiene l’e-metanolo, trasformabile con processi successivi in e-kerosene adatto ad alimentare gli aerei e in e-fuel idoneo per i motori a combustione interna. L’intero processo richiede molta acqua (ne servono due litri per ottenerne uno di e-fuel) e, soprattutto, tanta energia elettrica; quest’ultima dev’essere ottenuta da fonti rinnovabili, per non vanificare il tutto. Il bilancio carbonico, tra la CO2 catturata nell’aria e quella emessa allo scarico dei motori termici che utilizzano l’e-fuel, è infatti quasi pari a zero; inoltre, i propulsori così alimentati riducono o annullano altre emissioni, come quella di particolato. La produzione di e-fuel è, al momento, ancora molto costosa (anche se è difficile, trattandosi di esperienze pilota, individuarne il valore reale) e quantitativamente limitata, ma i sostenitori di questa soluzione ritengono che l’economia di scala e una politica fiscale incentivante potranno rendere questo combustibile competitivo. I detrattori, invece, sostengono che gli e-fuel non azzerano realmente, come fa invece la propulsione elettrica, le emissioni di anidride carbonica, che i costi resteranno elevati e che i quantitativi prodotti non saranno mai sufficienti per una loro diffusione su larga scala. A credere negli e-fuel sono, ad oggi, Mazda e Porsche. Quest’ultima ha realizzato un impianto sperimentale di produzione del combustibile nella Patagonia cilena.

BIOFUEL:

il biocombustibile più conosciuto è l’HVO ovvero olio vegetale idrotrattato o idrogenato. Si tratta del biocarburante prodotto con l’impiego di materie prime vegetali, scarti e residui di produzione o colture non idonee per utilizzi alimentari.

Con la raffinazione di questi materiali si ottiene il biodiesel, che già oggi è miscelato al gasolio derivato dal petrolio, ma che può essere interamente utilizzato per alimentare i propulsori ad accensione spontanea.

Nel nostro paese l’Eni lo distribuisce ad oggi in 50 stazioni di servizio italiane, che presto saranno 150, e la sua produzione avviene negli impianti ubicati a Venezia e Gela; per essere utilizzato nelle auto, i motori devono essere compatibili, va quindi verificato sul libretto di uso e manutenzione che sia presente la codifica con l’omologazione EN 15940 (XTL).

Non tutte le Case riportano nella documentazione di bordo questa sigla: l’Eni, pertanto, sta lavorando con i costruttori per realizzare e rendere noto un elenco completo dei modelli compatibili con il suo prodotto, denominato commercialmente HVOlution. L’impegno dell’azienda petrolifera pubblica in questo settore è uno dei motivi per cui l’Italia spinge in sede europea per far rientrare anche i biocombustibili tra i prodotti ammessi per l’alimentazione dei motori termici delle auto che saranno vendute dopo il 2035. I contrari a questa soluzione sottolineano come il biodiesel riduca solo parzialmente le emissioni carboniche allo scarico e come ci si rischi di sottrarre spazio alle colture alimentari necessarie per sfamare la popolazione mondiale; i sostenitori sottolineano, invece, come il biodiesel sia disponibile subito, non richieda investimenti colossali in impianti di produzione completamente diversi da quelli petroliferi, possa avvalersi della rete di distribuzione attuale e non comporti per l’utente accorgimenti particolari. Tutti elementi che possono contribuire fin da subito a una decarbonizzazione, pur parziale, dei trasporti.

Auto diesel: Il 77% dei test rivela ancora emissioni «sospette»

Dopo il Dieselgate del 2015, livelli di emissione sospetti continuano in almeno il 77% dei test effettuati su auto diesel in Europa. In Italia sono stimate 2,6 milioni di auto che non rispettano le regole.

 

Nel 2015, l’organizzazione The International Council on Clean Transportation (ICCT) rivelò una serie di falsificazioni nelle emissioni di auto diesel da cui scoppiò il famoso scandalo “Dieselgate”.

Oggi la stessa ICCT pubblica un nuovo rapporto dal quale si evince come da allora, molto probabilmente, non sia cambiato nulla e come milioni di auto diesel in Europa sembra utilizzino ancora un dispositivo di manipolazione vietato dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea (CGUE).

Secondo il rapporto, il 77% dei test effettuati su autovetture diesel Euro 6 in Europa hanno restituito livelli di emissioni di ossido di azoto (NOx) definiti, in base al comportamento previsto per questo tipo di test, “sospetti”. Una percentuale che sale all’85% nel caso dei modelli Euro 5.

Tali emissioni in eccesso indicano, spiegano dall’ICCT, il «probabile utilizzo» di un dispositivo di manipolazione vietato (defeat device) durante l’attività di calibrazione del motore. Un dubbio che diventa “quasi” una certezza nel 40% dei casi, in cui i livelli di emissioni di NOx sono definiti «estremi».

Perché “quasi”? Perché la soglia estrema, precisa l’organizzazione no-profit, indica un livello di emissioni talmente superiore ai limiti normativi da rendere «altamente improbabile» una spiegazione diversa dalla presenza di un dispositivo di manomissione delle emissioni. Potrebbero esistere circostanze che vanno dai difetti degli strumenti di misura o un malfunzionamento diffuso in una gamma di veicoli: tali condizioni sono rare, ma teoricamente possibili. Per questo, l’organizzazione preferisce usare il termine «quasi certo», anche se i dubbi sono appunto molto pochi.

In Italia si stimano 2,6 milioni di auto circolanti con livelli di emissioni “sospetti”, di cui 1,9 milioni con livelli di emissioni “estremi”. In Europa sono stati venduti circa 53 milioni di auto diesel dal 2009 al 2019. La maggior parte di queste è ancora in funzione e continua a emettere livelli elevati di NOx (inquinante atmosferico pericoloso che rappresenta un rischio significativo per la salute umana).

L’ICCT ha anche valutato i dati raccolti attraverso le passate campagne di telerilevamento, misurando le emissioni reali dei veicoli a bordo strada al passaggio degli automobilisti. I dati, che comprendono 700mila misurazioni in cinque Paesi europei, hanno mostrato che circa il 75% dei veicoli con motori diesel testati ha emissioni medie superiori alla soglia “estrema”. Secondo l’ICCT, in totale ci sono 150 modelli di veicoli che presentano emissioni superiori alla soglia di sicurezza e stima che oggi siano in circolazione 19 milioni di veicoli con emissioni “sospette” e 13 milioni di veicoli con emissioni “estreme”.

Il Dieselgate del 2015 aveva rivelato l’utilizzo di un software installato nel veicolo per alterare o disattivare il sistema di controllo delle emissioni in determinate condizioni operative. Dopo lo scandalo, solo alcuni produttori hanno effettuato richiami e aggiornamenti delle auto diesel in Europa. Secondo l’ICCT l’impatto di questi aggiornamenti, però, non è chiaro, poiché molti veicoli non sono stati sottoposti a nuovi test o i risultati dei test non sono stati resi pubblici.

Con le sentenze pubblicate nel dicembre 2020 prima e nel luglio 2022 poi, la Corte di Giustizia Europea ha chiarito che non è possibile utilizzare i dispositivi di manipolazione per i veicoli in condizioni di guida “normale” e usati durante tutto l’anno. L’ICCT ha identificato 66 modelli di veicoli che utilizzano strategie di calibrazione tacciati di essere dispositivi di manipolazione vietati in base alle ultime sentenze della Corte: la maggior parte di questi modelli di veicoli (48, per la precisione) utilizzerebbero strategie che alterano o disattivano il sistema di controllo delle emissioni a basse temperature ambientali.

«È difficile contestare una tale quantità di dati analizzati e di test raccolti da più fonti. Tutti puntano nella stessa direzione», afferma Peter Mock, direttore generale dell’ICCT per l’Europa. «Dopo le sentenze della Corte, questi risultati rappresentano un solido insieme di prove per le autorità che devono indagare e potenzialmente intraprendere azioni correttive per affrontare i rischi per la salute posti dalle auto diesel europee che circolano sulle nostre strade».

L’inquinamento atmosferico continua a essere il principale rischio per la salute in Europa. I veicoli diesel sono uno dei principali responsabili, soprattutto a causa delle elevate emissioni di NOx. Nell’area europea, 35.400 decessi prematuri sono stati collegati alle emissioni dei veicoli diesel su strada dal 2015, ovvero il 14% di tutti i decessi prematuri legati all’inquinamento atmosferico.

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